60^ Anniversario del Fatto d’Armi di Villa Calvi e Villa Rossi: Mario Crotti ricorda

Tra i documenti conservati nell’Archivio della Pro-Loco emerge un documento redatto da Mario Crotti in occasione del 60^ Anniversario del Fatto d’Armi di Villa Calvi e Villa Rossi. Mario Crotti ricorda:

Dopo l’attacco al Comando Germanico delle Ville Rossi e Calvi (26-27 marzo 1945) Albinea salva per “miracolo” dalla rappresaglia tedesca grazie al sacrificio di tre paracadutisti inglesi.

“Sessant’anni sono passati da quella notte di fuoco che sconvolse la nostra terra di Albinea. Campo di battaglia Villa Rossi e Villa Calvi, nella notte dal 26 al 27 marzo 1945. E’ rimasta nella mia memoria. Allora ero giovanissimo. La mia casa era la prima a mattina di Villa Rossi, in aperta campagna. E questa era la mia famiglia: il papà Silvio, la mamma Filomena, Dina, mia sorella, primogenita di sei fratelli sparsi per il mondo; Giuseppe (si seppe tramite il Vaticano – prigionieri negli Stati Uniti d’America; Francesca spostata a Fontanaluccia, sui monti di Modena, in zona partigiana; Luigi a Venegono (Varese, seminarista comboniano); Piero in Germania.

Di nessuno dei quattro avevamo notizie. Giuseppe dopo essere stato 17 mesi in Africa in seguito alla guerra del 1935, era stato richiamato nel 1940 e inviato in Jugoslavia; in seguito aveva fatto altri 17 mesi di Russia, rientrato fortunosamente, era stato inviato alla difesa della Sicilia e da qui, fatto prigioniero degli americani, trasferito negli Stati Uniti. Rientrerà a metà febbraio 1946, dieci mesi dopo la Liberazione. A casa era rimasta sua moglie Augusta, con i figli – piccolissimi – Guido ed Enrico. Per tutte queste vicende, che lo hanno portato ad essere protagonista di ben quattro guerre, il Presidente Azeglio Ciampi, nel 2004, gli ha conferito l’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica.

Una onorificenza che ha onorato tutta la famiglia e lo stesso ricordo del papà (mezzadro, padre di sei figli, mai iscritto al Partito Fascista) del quale sono sempre più orgoglioso.

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Quella notte, fummo svegliati dagli spari di diverse armi. Sulla nostra casa passavano i proiettili traccianti. Chiaro e distinto si udiva il suono della cornamusa, una musica a noi sconosciuta. Eravamo tutti terrorizzati. Il papà temeva che i traccianti incendiassero il fienile. Poi il silenzio. E il pensiero fu subito per il dopo: che cosa accadrà mai, ora? Sapevamo delle rappresaglie che i tedeschi immancabilmente avrebbero fatto. Ricordo che papà e mamma ci riunirono tutti nella cucina, davanti a un quadro della Madonna. A lei chiedemmo protezione su tutta la famiglia. Ricordo mia cognata Augusta: teneva in braccio i due bambini, terrorizzati.

Non ricordo se poi mi riuscì di dormire. Il mattino dopo – piovigginoso, come piovigginosa era stata la notte – mi recai secondo il consueto a Villa Degola e a Villa Manfredi a portare il latte per la mensa ufficiali dei tedeschi. Appena entrai, un maresciallo di Innsbruck, di nome Enrico, mi venne incontro e mi abbracciò. “Mario – mi disse – che brutta faccenda!”. A casa descrissi al papà il terrore che avevo visto fra i tedeschi. Mi volevano bene, questi tedeschi. Li frequentavo da più di quattro mesi e capivo chiaramente che, soprattutto coloro che a casa avevano famiglia, guardando ne vedevano i loro stessi figli.

Si seppe subito che i morti tedeschi dell’attacco erano tanti, più di cinquanta. Ma non ci fu la temuta rappresaglia, grazie al sacrificio dei tre valorosi paracadutisti inglesi le cui salme erano rimaste all’interno di Villa Rossi. Insieme con loro, era rimasto ferito il nostro concittadino onorario, presente ancora fra noi, Glauco Monducci “Gordon”, il comandante dei “Gufi Neri”, il reparto italiano in forza al Battaglione Alleato che aveva distrutto il comando germanico di Villa Rossi e Villa Calvi. Impossibilitato a muoversi per la ferita alla gamba, “Gordon” era stato portato in salvo dai partigiani prima a villa Canali, poi sulle montagne parmensi. Da lì, una “cicogna” (un piccolo aereo di costruzione tedesca) trasferì lui e il capitano inglese Michael Less oltre le linee, a Firenze, dove poterono avere cure adeguate.

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Noi albinetani dobbiamo onorare il nostro debito di riconoscenza verso i tre caduti inglesi. Fu grazie a loro se i tedeschi non attuarono la rappresaglia contro la popolazione civile. Si legge, infatti, nel diario dell’arciprete don Alberto Ugoletti: “La mattina [del 27 marzo] è tutta silenziosa. Non si vedono persone in giro. Attesa con gravi timori. I tedeschi perlustrano le zone di Monteiatico, Costa e Vendina, a sud-ovest della Chiesa di Albinea. Alle 10,30 giunge qui alla Chiesa un camion tedesco con a bordo un sergente degli Alpini del Quartier Generale, Compagnia Comando, di Villa rossi. Un militare tedesco e tre civili italiani requisiti: Ferretti Pietro, Lelli e Francesco Bigi. Il sergente mi racconta (in sommario) dell’attacco, “bene organizzato”, che una compagnia di paracadutisti inglesi, russi e partigiani avevano sferrato di sorpresa, nella notte, al Comando Generale Tedesco, e che nel combattimento erano rimasti uccisi tre inglesi le cui salme erano a bordo del camion e che le lasciavano nella cappella mortuaria di questo cimitero per l’inumazione. Richiesto dal sottoscritto se il Comando Tedesco avesse compiuto, o compisse, rappresaglia contro la popolazione per quest’azione, mi rispose che l’azione era stata compiuta da organizzazione militare e i civili sarebbero stati risparmiati.

Tuttavia il Comando Tedesco ha in atto un rastrellamento per assicurarsi contro gli elementi paracadutisti. In questo rastrellamento i tedeschi uccisero il giovane civile Cassinadri Isaia di Aderito, di anni 25, trovato in atto di allontanarsi nei pressi della Vendina. Il Cassinadri era contadino alla Costa (podere di Silvio Corbelli) ed era stato ritenuto ‘Partigiano'”.

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Per 40 anni ho portato nel cuore, sempre vivo, il ricordo di questi tre giovani inglesi sacrificatisi per la libertà dell’Italia. E un giorno mi è venuta l’idea di scrivere al sindaco di Albinea – allora era Paolo Pe – inviandogli una petizione con la quale diversi albinetani, che avevano vissuto quelle vicende, chiedevano di intitolare ai “Caduti Alleati di Villa Rossi del 26-27 marzo 1945” la nuova piazza che si stava ultimando. La richiesta fu accolta e così, nel 1985, piazza e intitolazione vennero inaugurate nel 40° anniversario della battaglia.

Per quell’occasione riuscii a rintracciare i protagonisti: il comandante dei paracadutisti maggiore Roy Farran; il capitano Michael Lees; il tenente Ken Harvey che comandò l’attacco a Villa Calvi, tutti e tre inglesi; i nostri partigiani Glauco Monducci “Gordon”, comandante dei Gufi Neri, e il compianto Gianni farri, comandante dei garibaldini, e tanti altri partigiani.

Alla cerimonia partecipò l’Ambasciatore sovietico, l’Addetto Militare dell’Ambasciata inglese colonnello Jan Madelin, autorità civili e militari. La santa messa fu celebrata da Monsignor Prospero Simoncelli, membro del Comitato di Liberazione Nazionale, che nell’omelia portò testimonianze dirette su alcune figure della resistenza: l’architetto Osvaldo Piacentini, internato e torturato a Villa Rossi; gli albinetani conte Calvi di Coenzo, e dottor Luigi Ferrari, entrambi condannati a morte e, infine, graziati. Alla fine della cerimonia venne scoperta la lapide con l’intestazione ai Caduti e si depose una corona di fiori a Villa Rossi.

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Dieci anni dopo, per il 50° il sindaco Vilmo Delrio organizzò due giorni di festa. Al sabato mattina, nel Cinema Apollo, le scuole ebbero la possibilità di conoscere di persona tanti protagonisti e i vari comandanti: Farran, Less, Harvey, il colonnello Madelin venuto da Londra e i partigiani. Alla sera dello stesso sabato, con partenza dalla località del “Lupo”, una fiaccolata seguì il percorso che i cento uomini, di diverse nazionalità, avevano percorso per avvicinarsi alle Ville Calvi e Rossi e attaccarle.

Nei pressi di Botteghe, la fiaccolata venne accolta dal suono della cornamusa, suonata da un autentico scozzese fatto arrivare dall’amico Livio Spaggiari di Genova. Davanti al famoso cancello di Villa Rossi, il maggiore Farran diede spettacolo ballando e cantando, alla faccia dell’età.

A questa fiaccolata parteciparono anche i familiari dei cinque tedeschi uccisi dai loro commilitoni perché scoperti a collaborare con i partigiani. Insieme a loro autorità delle città di Iserlohn e Berlino. Questo secondo fatto era avvenuto il 26-27 agosto 1944. Per 50 anni questi cinque eroici uomini non erano mai stati ricordati. Avevo perciò chiesto al Sindaco Vilmo Delrio di commemorarli. Essi avevano bagnato la nostra terra con il loro sangue, come i tre paracadutisti inglesi che, con il loro sacrificio, avevano evitato la rappresaglia sulla popolazione civile. Anche secondo il piano di attacco, pubblicato da un gappista su L’Unità del 6 ottobre 1996, la rappresaglia era stata messa nel conto come certa. Avevo perciò chiesto al sindaco di concedere a tutti e otto la cittadinanza onoraria di Albinea.

Il giorno seguente, domenica, l’Onorevole Nilde Iotti ci onorò con la sua presenza inaugurando la mostra fotografica documentaria che avevo allestito sulla base del diario dell’arciprete don Ugoletti. Questa mostra, grazie al professor Luigi Rossi, insegnante ad Hagen (Germania), fu tradotta anche in tedesco. Il successo è dovuto a due sacerdoti: innanzitutto don Ugoletti che, con il suo diario, aveva lasciato notizie di prima mano e di totale attendibilità; poi don Lamberto Schiatti, dei paolini (albinetano doc), deceduto due anni or sono. Don Lamberto aveva conosciuto il professor Rossi ancor bambino, ad Alba. E proprio a don Lamberto il professor Rossi si era rivolto per avere informazioni sulla resistenza nel Reggiano per parlarne ai suoi allievi di Hagen. Don Lamberto, sapendomi appassionato raccoglitore di queste memorie, gli aveva dato il mio nome e il mio indirizzo.

Così, poco tempo dopo, la mostra fu esposta anche nella scuola di Hagen, nei Municipi di Iserlohn, Treptow e di Prenzlauer-Berg (Berlino Est), città da cui provenivano le cinque vittime tedesche. Fu inoltre esposta per due mesi nelle Gallerie Olga Benario, in Weserstrasse 5, a Berlin-Nukolln.

Per le celebrazioni del 50° avevo invitato anche don Giuseppe Dossetti, allora a Montesole. Non potè venire, ma mi rispose dicendo che molto volentieri avrebbe rivisto gli inglesi conosciuti in montagna durante la Resistenza.

Questa seconda volta la messa fu celebrata da monsignor Angelo Cocconcelli, anche lui membro del Comitato di Liberazione Nazionale. Dopo la messa Nilde Iotti commemorò l’evento e venne concessa la cittadinanza onoraria a vittime e superstiti. Nella piazza venne scoperto il monumento con la scritta “mai più”, in italiano, inglese, russo, su progetto del professor Adriano Corradini, utilizzando una pietra di oltre 60 quintali proveniente da Cassino. L’avevo io stesso trasportata e quindi donata al Comune.

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In questi anni diverse personalità sono state invitate. Ricordo il senatore a vita Paolo Emilio Taviani. In quell’occasione parlò il senatore Boldrini. Taviani rimase colpito dalla eloquenza del monumento e, girando l’Italia, diceva che questo di Albinea era il più bel monumento alla pace.

Venne pure l’onorevole Sergio Mattarella, allora Ministro della Difesa. Ricordo pure l’onorevole Castagnetti e, lo scorso anno, il sindaco di Reggio Antonella Spaggiari.

ora, però, da qualche giorno, con amarezza, mi sto chiedendo: perché questa così importante documentazione storica che è là, non mi è stata chiesta? Ho portato nel mondo il nome di Albinea e del suo sindaco. Eppure, quando andò in porto il gemellaggio con Treptow-Kopenick ebbi dal Sindaco di Treptow e dal Parlamento di quella città un attestato che diceva “determinante” il mio personale contributo – ovvero la mostra – per iniziare il cammino che ha portato alla firma di questo gemellaggio di tipo così particolare.”

Albinea, 2005

Mario Crotti